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Sotto il titolo "Addio bella époque" il quotidiano di Como
"La Provincia" pubblica, nel 1953, un pezzo nostalgico:

Verso sera, nella dolce sera che consola gli animi stanchi, quando il cielo si chiude lento e profonda è la quiete, se ne andranno per l'ultimo viaggio sull'acqua, fattasi, come per incanto, fresca e mormorante, quattro nostri battelli da Como a Dervio per essere demoliti, per scomparire. Non sappiamo se sarà proprio di sera, se sarà domani o un altro giorno. Ma ci piace immaginare che l'ultimo viaggio dell'Unione, del Menaggio, del Como e dell'Adda avvenga al tramonto, che la loro storia si concluda quando le cime dei monti stanno per dormire e con loro le vallate intorno e i paesi che si affacciano al lago. Il resto è silenzio. Era la bella époque e i piroscafi con quella loro alta ciminiera e le ruote avevano un nome pretenzioso: battelli saloni. Lo sviluppo del lago, la sua conoscenza, la gioia riposante e candida di poter vedere cose nuove e belle, è legata a loro che hanno portato generazioni e generazioni, i nostri nonni e i nostri padri e noi che già sentiamo avvicinarsi l'ombra lunga della notte. Ed è curioso come in epoche come la nostra che dice di non essere sentimentale, di tenere all'utile, al pratico, che non concede nulla all'immaginazione, il battello colpisca ancora la nostra fantasia. I piroscafi hanno un'anima, o meglio, siamo noi che gli abbiamo dato una parte della nostra. Sono stati i bimbi che scoprivano per la prima volta un mondo di favola; sono stati gli innamorati dimentichi e felici; sono stati gli stranieri ebbri per la grande luce, per l'azzurro, per il verde; sono stati i lavoratori, gli emigranti, il romanticismo che era nell'aria e, prima ancora, i predecessori del vecchio Unione, la Forza, la Vittoria, l'Italia, nomi, allora, arditi che hanno il sapore di non dimenticate pagine fogazzariane del Piccolo Mondo Antico. I grandi fantasmi del passato popolano le rive del lago e il battello salone non è da loro disdegnato, anzi, amato.

Nella notte d'estate, prima che spuntasse la luna dalla cima dei monti, l'Unione, il più vecchio piroscafo, ormai stanco, che aveva compiuto più viaggi dei suoi compagni, che aveva conosciuto le belle stagioni e quelle brutte della nebbia infida, delle acque corrucciate, che aveva ascoltato gli innumeri discorsi degli uomini, le loro passioni, i loro scoramenti, le attese snervanti; lo scettico Unione ebbe come un sussulto e cominciò a dondolare irrequieto e convulso. Si svegliarono dal sonno anche gli altri e il Menaggio, il più svelto, il più nervoso - ul vint ghei come lo chiamavano i laghisti quando con quella moneta si poteva percorrere tutto il primo bacino - chiese quali desideri avesse ancora nel suo duro cuore, o se avesse visto scendere nelle acque il corpo perfetto di un'adolescente nordica.

No, no, rispose il vecchio Unione, non è per questo. Io sono ormai lontano da questo genere di piaceri. Io ormai attendo la morte, ma quando viene è sempre doloroso dare l'addio alla vita. Voi non sapete, ma domani verrà qui mio figlio, il Bisbino, e mi porterà a Dervio, e voi verrete con me. Sarà l'ultimo viaggio. Cercate di compierlo bene e salutate tutti gli amici e i paesi, uno per uno, ché viaggiaremo lentamente e avremo occasione di vederli tutti. Dite loro due sole parole e non siate tristi. Può darsi che i campanili ci riconoscano ancora, può darsi che qualche vecchio si ricordi ancora di noi, ma voi non lasciatevi commuovere. Assaporate, nell'aria della sera, gli ultimi aromi che evocano i fantasmi delle fragranze vergini e morte.

Disse, e gli altri se ne stettero zitti e per quella notte non dormirono. Addio, addio vecchi amici. Voi ve ne andate e anche noi ce ne andremo, e resteranno gli uccelli a cantare.

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